Madrefede Regno delle Due Sicilie

Costituzione: N.D.

Codice ISMIN: 14228

Il Regno delle Due Sicilie fu uno Stato sovrano dell'Europa meridionale esistito tra il dicembre 1816 e il febbraio 1861, ovvero dalla Restaurazione all'Unità d'Italia.

Prima della Rivoluzione francese del 1789 e delle successive campagne napoleoniche, la dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia (ad eccezione dell'isola di Malta che era concessa in feudo al Sovrano Militare Ordine di Malta).

Un anno dopo il congresso di Vienna e con il Trattato di Casalanza, il sovrano Borbone che prima d'allora assumeva in sé la corona napoletana (al di qua del Faro) come Ferdinando IV, e quella siciliana (al di là del Faro) come Ferdinando III, riunì in un'unica entità ... Altro

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Il Regno delle Due Sicilie fu uno Stato sovrano dell’Europa meridionale esistito tra il dicembre 1816 e il febbraio 1861, ovvero dalla Restaurazione all’Unità d’Italia.

Prima della Rivoluzione francese del 1789 e delle successive campagne napoleoniche, la dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia (ad eccezione dell’isola di Malta che era concessa in feudo al Sovrano Militare Ordine di Malta).

Un anno dopo il congresso di Vienna e con il Trattato di Casalanza, il sovrano Borbone che prima d’allora assumeva in sé la corona napoletana (al di qua del Faro) come Ferdinando IV, e quella siciliana (al di là del Faro) come Ferdinando III, riunì in un’unica entità statuale il Regno di Napoli e il Regno di Sicilia, attraverso la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie dell’8 dicembre 1816, a quasi 400 anni dalla prima proclamazione del Regno Utriusque Siciliae da parte di Alfonso il Magnanimo. Inizialmente la capitale era Palermo (secolare sede del Parlamento Siciliano) ma già l’anno successivo (1817) fu spostata a Napoli. Palermo continuò ad essere considerata “città capitale” dell’isola di Sicilia.

Storia

La prima menzione ufficiale del toponimo “Due Sicilie” si ebbe invece quando Alfonso V d’Aragona nel 1442 unificò il Regno di Sicilia ed il Regno di Napoli sotto la corona di Rex Utriusque Siciliae. Dopo la breve parentesi aragonese i due regni tornarono ad essere del tutto indipendenti, uno con capitale Napoli, l’altro con capitale Palermo.

Il XVIII secolo

Nel 1734 Carlo di Borbone, figlio di Filippo V re di Spagna e di Elisabetta Farnese, portò a termine con successo la conquista militare del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia, facendo il suo ingresso a Napoli il 10 maggio; il 25 maggio sconfisse gli austriaci a Bitonto e il 2 gennaio 1735 assunse il titolo di re di Napoli “senza numerazione specifica“. Quindi completò la conquista della Sicilia e nel luglio 1735 venne incoronato a Palermo re di Sicilia.

Mantenne quindi la separazione tra i due regni: a Napoli regnò con sovranità assoluta come despota illuminato, in Sicilia come monarca parlamentare, e mantenne e convocò il Parlamento siciliano. Le capitali restarono due, ma mantenne la corte a Napoli.

Carlo non ebbe un’effettiva autonomia dalla Spagna fino alla pace di Vienna del 1738, con la quale si concluse la guerra di successione polacca. Secondo gli accordi stipulati, l’Austria cedeva a Carlo III di Borbone lo Stato dei Presidii, il Regno di Napoli nonché il Regno di Sicilia, che essa aveva scambiato con la Sardegna nel 1720 a seguito della Pace dell’Aia.

Nel 1759, alla partenza di Carlo, divenuto re di Spagna, salì al trono all’età di soli 8 anni Ferdinando. Principali esponenti del Consiglio di Reggenza furono Domenico Cattaneo Della Volta, principe di San Nicandro, e il marchese Bernardo Tanucci. Durante la reggenza, come nel periodo successivo, fu principalmente il Tanucci ad avere in mano le redini dei due regni ed a continuare le riforme iniziate in età carolina.

Il periodo napoleonico

I francesi erano già entrati in Italia nel 1796 con Napoleone Bonaparte, che era riuscito facilmente ad aver ragione delle armate austriache e dei deboli governi locali. Il 22 dicembre 1798 il re abbandonò il Regno di Napoli per rifugiarsi a Palermo (dove rimase fino al 1802), lasciando la città di Napoli praticamente indifesa.

Il 22 gennaio 1799 (per alcuni il 21), mentre i lazzari ancora combattevano, i giacobini napoletani (tra i quali Mario Pagano, Francesco Lomonaco, Michele Granata, Domenico Cirillo, Nicola Fasulo, Carlo Lauberg, Giuseppe Logoteta) proclamarono la repubblica. La Repubblica Napoletana non ebbe lunga vita, travolta dalla reazione europea e incapace di garantirsi l’adesione dei ceti popolari e delle province non occupate dall’esercito francese.

Dopo la vittoria di Austerlitz del 2 dicembre 1805, Napoleone occupò nuovamente con le sue truppe il reame di Napoli, dichiarando decaduta la dinastia borbonica e nominando suo fratello Giuseppe Bonaparte re di Napoli. A Giuseppe Bonaparte, nel 1808 destinato a regnare sulla Spagna (per un gioco del caso al posto del fratello di Ferdinando, Carlo IV), successe Gioacchino Murat. Murat regnò sino al maggio 1815, riprendendo per sé il titolo di Re delle Due Sicilie, cancellando l’autorità amministrativa del Regno di Sicilia, che non aveva potuto conquistare, e accentrando il potere in un unico Stato con capitale Napoli.

Ferdinando in Sicilia e la restaurazione

Palazzo reale della Ficuzza, nei Monti Sicani, dove Ferdinando visse alcuni anni
Lo stesso Ferdinando, rifugiatosi per la seconda volta a Palermo nel 1806 a causa dell’invasione francese, trovò un’atmosfera tutt’altro che festosa, non volendo il popolo siciliano sottostare al suo predominio. Dovette ben presto fare i conti con la politica britannica, volta a trasformare l’isola in unprotettorato[senza fonte] (come nel frattempo già avvenuto con Malta). Il re, nel 1810, riunì il Parlamento siciliano, domandando personalmente aiuti adeguati per la salvaguardia del regno minacciato dai francesi, ma la rivolta esplose nell’isola. Lord William Bentinck, comandante delle truppe britanniche in Sicilia, impose a Ferdinando di promulgare la Costituzione siciliana del 1812, mentre il figlio Francesco venne nominato reggente, il 16 gennaio 1812, e un nuovo governo fu insediato con i notabili siciliani. Solo nel 1815 poterono tornare a Napoli.

Il secondo ritorno di Ferdinando a Napoli non fu caratterizzato da repressioni. Il sovrano mantenne gran parte delle riforme attuate dai francesi (fu però, ad esempio, abolito il divorzio), incluse le norme del Codice Napoleonico adottato durante il decennio francese, che venne ribattezzato “Codice per lo Regno delle Due Sicilie”. Unico taglio di rilievo con il periodo napoleonico si ebbe nei rapporti con la chiesa, che tornò ad occupare un ruolo di primo piano nella vita civile del regno. Questo processo di “amalgama” venne gestito dal primo ministro Luigi de’ Medici di Ottajano, il quale mirava a fondere in un unico ceto il personale politico e burocratico di epoca murattiana con quello borbonico, volendo guadagnare il primo alla causa della monarchia restaurata.

Nascita del Regno delle Due Sicilie

 Pubblicazione ufficiale del Regno delle Due Sicilie

La politica di assolutismo riformistico condotta dal governo napoletano del Medici portò inoltre all’effettiva unificazione delle province napoletane con quelle siciliane. Dopo il congresso di Vienna ed il trattato di Casalanza (20 maggio 1815), l’8 dicembre 1816, Ferdinando IV riunì in un unico Stato i regni di Napoli e Sicilia con la denominazione di Regno delle Due Sicilie, abbandonando per sé il nome di Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia ed assumendo quello di Ferdinando I delle Due Sicilie. Tale atto ebbe, tra l’altro, la conseguenza di privare di fatto la Sicilia della Costituzione promulgata dallo stesso Ferdinando nel 1812.

 Diploma da carbonaro, 1820

Sino al Congresso di Vienna il Regno di Sicilia, rappresentato dal Parlamento siciliano, aveva mantenuto una propria indipendenza, nonostante l’unione personale (ovvero unico re per due regni) con il Regno di Napoli. L’atto di unificazione venne visto dalla classe politica e nobiliare siciliana come un affronto verso quello che ininterrottamente, e da circa 600 anni, era stato un regno indipendente a tutti gli effetti. Quasi immediatamente ebbe inizio una campagna anti-borbonica, accompagnata da una propaganda dell’identità siciliana, soprattutto per azione delle élite aristocratiche di Palermo. Anche la capitale del nuovo regno fu spostata a Napoli, mentre il principe Francesco diventava Luogotenente generale di Sicilia.

La restaurazione, benché condotta in maniera riformistica[senza fonte] e con un approccio opposto rispetto al 1799, in ultima analisi non riuscì a colmare il distacco fra la monarchia borbonica ed i ceti più progrediti apertosi nel 1799, anzi, finì per estenderlo anche alla classe dirigente siciliana. Questa situazione contribuì a creare un terreno fertile al diffondersi di società segrete, che reclutavano adepti in larghi strati della borghesia del reame. Tra le più importanti società segrete del tempo vi era la Carboneria, i cui adepti erano uniti da un comune desiderio di rinnovamento che si esprimeva principalmente nella richiesta di una costituzione. Vicini alla Carboneria erano anche gli elementi murattiani, che con la politica riconciliatrice del Medici avevano rioccupato molte posizioni all’interno dell’amministrazione statale e delle Forze Armate.

 Guglielmo Pepe, figura di spicco dei moti del ’20 e successivamente difensore di Venezia.

I moti del 1820

In Sicilia il crescente malcontento nei confronti delle autorità napoletane (unitamente alla recente svolta costituzionale), causò lo scoppio il 15 giugno 1820 di una rivolta popolare, mentre Francesco di Borbone, Luogotenente generale di Sicilia, il 27 giugno fu costretto a lasciare la Sicilia per Napoli.

Anche nel napoletano questa crescente richiesta di rinnovamento portò, nella notte tra il 1° ed il 2 luglio 1820, al pronunciamento a Nola di un gruppo di militari di cavalleria, capeggiato dai sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati. L’iniziativa del moto rivoluzionario nel napoletano fu presa in seguito al successo della rivolta costituzionale spagnola del gennaio 1820, che portò il re Ferdinando VII a riconcedere la Costituzione del 1812. Il colpo di Stato nel Regno delle Due Sicilie fu attuato con l’ausilio dalla Carboneria e degli alti ufficiali delle Forze Armate, tra cui Guglielmo Pepe, che assunse il comando delle forze rivoluzionarie. Ferdinando, constatata l’impossibilità di soffocare la rivolta (rapidamente diffusasi in molte province), il 7 luglio 1820 concesse la Costituzione spagnola del 1812 e nominò suo vicario il figlio Francesco. Il primo ottobre iniziarono i lavori del nuovo parlamento napoletano eletto alla fine di agosto, nel quale prevalevano gli ideali borghesi diffusi nel decennio francese. Tra gli atti del parlamento vi furono la riorganizzazione delle amministrazioni provinciali e comunali e provvedimenti sulla libertà di stampa e di culto.

Il 16 luglio ci fu intanto l’insediamento a Palermo di un governo provvisorio dichiaratamente separatista, che chiese al governo rivoluzionario di Napoli il ripristino del Regno di Sicilia, seppur sempre a guida borbonica, e un proprio parlamento. Il governo napoletano in un primo momento inviò il 30 agosto in Sicilia il generale Florestano Pepe, che, con l’accordo di Termini Imerese del 22 settembre, concesse ai siciliani la possibilità di eleggere una propria assemblea di deputati, accordo che non fu ratificato dal neoeletto parlamento di Napoli.

Tuttavia la borghesia dell’isola vide in questo gesto il tradimento delle proprie aspirazioni indipendentistiche, il che costrinse il governo napoletano ad inviare il 14 ottobre nell’isola il generale Pietro Colletta, con l’ordine di imporre con la forza ai siciliani la volontà unitaria del governo centrale. La mancata coordinazione delle forze delle varie città siciliane portò all’indebolimento del governo provvisorio (Messina e Catania osteggiarono la rivendicazione di Palermo a voler governare l’Isola), che ben presto decadde sotto i colpi della repressione borbonica.

Le novità introdotte nel Regno Due Sicilie con i moti del 1820 non furono però gradite dai governi delle grandi potenze europee, specie dall’Austria di Metternich che, dopo il congresso di Troppau del 27 ottobre 1820, convocò Ferdinando I a Lubiana perché chiarisse il suo atteggiamento riguardo alla costituzione che aveva concesso. Alla partenza del re si oppose, tra gli altri, il principe ereditario Francesco. Metternich, preoccupato delle conseguenze che il moto napoletano avrebbe potuto suscitare negli altri stati italiani, organizzò un intervento armato austriaco con lo scopo di sopprimere il governo costituzionale napoletano, nonostante i pareri discordi di altre potenze europee. Il governo napoletano, che sperava invano in una difesa della Costituzione da parte di Ferdinando I a Lubiana, decise per la resistenza armata contro l’aggressione austriaca.

Nel marzo 1821 il Regno delle Due Sicilie fu attaccato dalle truppe austriache, le quali sconfissero l’esercito costituzionale napoletano comandato da Guglielmo Pepe ad Antrodoco. A fiaccare lo spirito combattivo delle altre truppe dell’esercito napoletano valse anche un proclama di re Ferdinando che, al seguito degli austriaci, invitava a deporre le armi e a non combattere coloro che venivano a ristabilire l’ordine nel Regno.

 Francesco I e famiglia reale

Il 23 marzo 1821 Napoli venne occupata, la costituzione venne sospesa e cominciarono le repressioni: si contarono alla fine 13 ergastoli e 30 condanne a morte, tra cui si ricordano quelle di Morelli e Silvati – eseguite nel 1822 – e quelle di Michele Carrascosa e Guglielmo Pepe, che non vennero mai eseguite in quanto i due ufficiali riuscirono a fuggire dal regno.