Documento di Scioglimento del Debito Pubblico di Toscana

Costituzione: Legge 7 marzo 1788

Codice ISMIN: 781

Il Granducato di Toscana fu uno Stato indipendente esistito dal 1569 al 1859, sotto la dinastia dei Medici prima e degli Asburgo-Lorena poi. Durante tale periodo il Granducato di Toscana riuscì a conservare la propria indipendenza e a svilupparsi fino a essere uno degli stati più prosperi e moderni in Europa.

L'ascesa dei Medici: dalla repubblica al Granducato

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica di Firenze e Medici.
A partire dal 1434, anno in cui Cosimo il Vecchio fa trionfalmente ritorno dall'esilio veneziano al quale l'aveva costretto l'anno precedente il governo oligarchico reggitore della città, la famiglia Medici prende a esercitare su Firenze un potere di fatto (per il quale è stata con... Altro

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A-781Documento di Scioglimento del Debito Pubblico di Toscana-1Firenze1788-R8 (11-25 pezzi)S6 (da 501 a 1.000 €)

Il Granducato di Toscana fu uno Stato indipendente esistito dal 1569 al 1859, sotto la dinastia dei Medici prima e degli Asburgo-Lorena poi. Durante tale periodo il Granducato di Toscana riuscì a conservare la propria indipendenza e a svilupparsi fino a essere uno degli stati più prosperi e moderni in Europa.

L’ascesa dei Medici: dalla repubblica al Granducato

Exquisite-kfind.png Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica di Firenze e Medici.
A partire dal 1434, anno in cui Cosimo il Vecchio fa trionfalmente ritorno dall’esilio veneziano al quale l’aveva costretto l’anno precedente il governo oligarchico reggitore della città, la famiglia Medici prende a esercitare su Firenze un potere di fatto (per il quale è stata coniata la definizione di “criptosignoria”) che si consoliderà sotto Piero di Cosimo detto il Gottoso e suo figlio Lorenzo il Magnifico. Nel 1494 Piero di Lorenzo detto lo Sfortunato, incapace di opporsi efficacemente all’ingresso del re di Francia Carlo VIII in Firenze, è costretto alla fuga. In città viene restaurato il regime repubblicano, mentre la Repubblica di Pisa riacquista la propria indipendenza, che tuttavia perderà nuovamente nel 1509.

Verso il Granducato

Il ritorno dei Medici (1512) vede al governo della città il cardinale Giulio, figlio naturale di Giuliano di Piero di Cosimo, che nel 1523 sarà eletto papa con il nome di Clemente VII. Nel 1527, tuttavia, dopo il Sacco di Roma da parte delle truppe di Carlo V, i fiorentini insorgono proclamando nuovamente la repubblica: solo l’accordo tra il papa Medici e l’imperatore consentirà la sconfitta definitiva dell’ultimo regime repubblicano, dopo un lungo assedio. Nel 1531 Alessandro de’ Medici prende possesso del governo della città; l’anno dopo riceve il titolo ducale, dà vita al Senato dei Quarantotto e al Consiglio dei Dugento, riformando le antiche istituzioni repubblicane e comunali. Morirà nel 1537 per mano di Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, meglio noto come Lorenzino o Lorenzaccio. Il governo viene dunque assunto da Cosimo, figlio di Giovanni dalle Bande Nere, discendente del ramo cadetto, e Maria Salviati, nipote di Lorenzo il Magnifico.

Il nuovo duca dà inizio a una politica espansionistica che avrà una tappa fondamentale nella conquista di Siena (1555) e nella fine della repubblica senese, ratificata da Filippo II di Spagna nel quadro del trattato di Londra (1557) che sancirà anche la costituzione dello Stato dei Presidii, posto sotto il controllo di viceré spagnoli, nell’Argentario, già area di influenza senese. Siena stessa sarà governata attraverso la costituzione di uno Stato Nuovo (o Ducato di Siena) e manterrà un’autonomia governativa e amministrativa con proprie istituzioni, rispetto al resto del granducato, seppur con burocrati e funzionari toscani graditi ai Medici.

Con la bolla emessa da papa Pio V il 27 agosto 1569 Cosimo ottiene il titolo di granduca di Toscana. Alla sua morte (1574), gli succede il figlio Francesco. La dinastia medicea reggerà le sorti del granducato fino alla morte di Gian Gastone (1737), quando la Toscana, priva di un erede legittimo, sarà concessa a Francesco III Stefano, duca di Lorena, consorte di Maria Teresa, arciduchessa d’Austria, in base ad accordi già stipulati tra le dinastie europee nel 1735.

I Lorena

Il primo granduca della dinastia lorenese riceve l’investitura della Toscana con diploma imperiale del 24 gennaio 1737; destinato ad affiancare la moglie sul trono imperiale (prima coreggente, riceve la nomina a imperatore nel 1745) e affida il governo della Toscana a una reggenza presieduta da Marc de Beauvau, principe di Craon, compiendo una sola visita nella regione (1739).

La Toscana, divenendo di diritto e di fatto un feudo dell’impero, è in questi primi anni una pertinenza politica ed economica della corte di Vienna. Il celebre mecenatismo dei Medici con le loro numerose e famose committenze, improvvisamente cessa: anzi il nuovo granduca ereditando le vaste e cospicue proprietà medicee, fa incetta delle imponenti collezioni raccolte nel corso dei secoli. In occasione della visita di Francesco Stefano a Firenze, vengono trasferite a Vienna numerosissime opere d’arte dei palazzi medicei, con una lunga processione di carri che per tre giorni escono da Porta San Gallo. Questo suscita lo sdegno degli stessi fiorentini che si sentono legittimi eredi e della stessa principessa elettrice palatina Anna Maria, ultima rappresentante della famiglia Medici che, alla sua morte, lascia i propri beni e collezioni private alla città di Firenze, andando così a costituire il primo nucleo della “Galleria Palatina”.

Questo periodo non è caratterizzato dalla tradizionale affezione della popolazione e della dirigenza toscana verso i propri regnanti. Con l’arrivo del nuovo dinasta e della nuova classe politica lorenese che si dimostra spesso ottusa e sfruttatrice della situazione toscana crea un netto distacco con l’alta società fiorentina che si vede defraudata in parte delle antiche cariche politiche. Solo con la dichiarazione del 14 luglio 1763, il granducato, da pertinenza imperiale, viene qualificato nella dinamica dinastica come secondogenitura con la clausola che, nel caso di estinzione della linea cadetta, lo Stato sarebbe ritornato tra i possedimenti imperiali. Deceduto il secondogenito Francesco, è nominato erede dello Stato toscano il terzogenito Pietro Leopoldo a cui viene riconosciuta la dignità sovrana con rescritto imperiale del 18 agosto 1765.

Nelle mani di Pietro Leopoldo di Lorena (1765-1790) il granducato conosce la fase più innovativa del governo lorenese, in cui una solida politica agraria si accompagna alle riforme del commercio, dell’amministrazione pubblica e della giustizia.

Come Granduca di Toscana, Leopoldo è un chiaro esempio di sovrano illuminato e le sue riforme si contraddistinguono per una propensione agli scopi pratici più che a quelli teorici.

Nella sua opera riformatrice si avvale di importanti funzionari come Giulio Rucellai, Pompeo Neri, Francesco Maria Gianni, Angelo Tavanti.

Il granduca avvia una politica liberista raccogliendo l’appello di Sallustio Antonio Bandini del quale fa pubblicare l’inedito Discorso sulla Maremma, promuovendo la bonifica delle aree paludose nella Maremma e nella Val di Chiana e favorendo lo sviluppo dell’Accademia dei Georgofili. Introduce la libertà nel commercio dei grani abolendo i vincoli annonari che bloccavano le colture cerealicole, ma l’avvenimento capitale è, dopo tanti secoli, la liquidazione delle corporazioni di origine medioevale, ostacolo principale per un’evoluzione economica e sociale dell’attività industriale. Introduce poi la nuova tariffa doganale del 1781, in base alla quale vengono aboliti tutti i divieti assoluti, che sono sostituiti da dazi protettivi, tenuti, del resto, a un livello molto basso in confronto a quelli allora in vigore.

La trasformazione del sistema fiscale è da Pietro Leopoldo intrapresa fin dai suoi primi anni di regno e nel 1769 viene abolito l’appalto generale e cominciata la riscossione diretta delle imposte. Esitante si rivela invece il sovrano fra la politica di Tavanti, che fino al 1781 attraverso il catasto, intende prendere la proprietà fondiaria come termine di misura per l’imposizione fiscale e, dopo la morte di Tavanti, nel 1781, quella di Francesco Maria Gianni, suo maggiore collaboratore dal quel momento, che concepisce un piano di eliminazione del debito pubblico attraverso la vendita dei diritti fiscali che lo Stato ha sulla terra dei sudditi. Si sarebbe poi passati a un sistema fondato esclusivamente sull’imposizione indiretta; operazione questa che, iniziata nel 1788, non è ancora ultimata nel 1790 quando Leopoldo diviene Imperatore.

Riforma certi aspetti della legislazione toscana ma il suo maggior progetto, la redazione di un nuovo codice, che Pompeo Neri avrebbe dovuto realizzare, non giunge a termine per la morte del Neri stesso, mentre i progetti di costituzione non hanno seguito a causa della sua partenza per Vienna. In campo ecclesiastico Pietro Leopoldo si ispira ai principi del giurisdizionalismo, sopprimendo i conventi e abolendo i vincoli di manomorta. Inoltre l’alto clero della Toscana si volge religiosamente verso il Giansenismo, rappresentato dal vescovo di Pistoia Scipione de Ricci, tanto che il granduca gli fa organizzare un sinodo a Pistoia nel 1786 per riformare l’organizzazione ecclesiastica toscana secondo i principi giansenisti.

Il programma uscito da questo sinodo, riassunto in 57 punti e frutto dell’intesa con Pietro Leopoldo, interessa gli aspetti patrimoniali e culturali e afferma l’autonomia delle Chiese locali rispetto al Papa e la superiorità del Concilio, ma le forti opposizioni del resto del clero e del popolo lo spingono a rinunciare a questa riforma.

Nel periodo 1779-1782 Pietro Leopoldo avvia un progetto costituzionale che continua ulteriormente nel 1790 per fondare i poteri del sovrano secondo un rapporto contrattualistico. Anche questa politica però suscita forti opposizioni, e il granduca, che proprio in quell’anno saliva al trono imperiale è costretto a rinunciarvi.

Ma la riforma più importante introdotta da Pietro Leopoldo è l’abolizione degli ultimi retaggi giuridici medievali in materia giudiziaria. All’inizio del suo regno in tema di giustizia vige la più assoluta confusione data dalla sovrapposizione incontrollata delle migliaia di norme accumulatesi nel corso dei secoli. I vari provvedimenti e leggi principesche (decreti, editti, motu propri, ordinanze, dichiarazioni, rescritti) validi in tutto il granducato incontravano eccezioni e particolarismi comunali, statutari e consuetudinari che ne limitavano grandemente l’efficacia. L’esigenza di dare una prima riorganizzazione mediante una loro raccolta sistematica è fatta dal Tavanti che collaziona tutte le leggi toscane dal 1444 al 1778. Una prima fase riguarda le abolizioni di privilegi giuridici comunali e corporativi come l’abolizione della censura ecclesiastica e i vantaggi riconosciuti agli Ebrei di Livorno, la limitazione degli effetti del maggiorascato, del fidecommesso e della manomorta degli enti ecclesiastici.

In materia penale vigevano ancora, fino alla riforma del 1786, i “quattro delitti infami” di origine medievale (lesa maestà, falso, buon costume e delitti atroci e atrocissimi). In un colpo solo Pietro Leopoldo abolisce il reato di lesa maestà, la confisca dei beni, la tortura e, cosa più importante, la pena di morte grazie al varo del nuovo codice penale del 1786 (che prenderà il nome di Riforma criminale toscana o Leopoldina). La Toscana sarà quindi il primo Stato nel mondo ad adottare i principi di Cesare Beccaria, il più importante illuminista italiano che nella sua opera Dei delitti e delle pene invocava appunto l’abolizione della pena capitale.

Nel 1790, alla morte del fratello Giuseppe, privo di eredi, riceve la corona asburgica; il figlio Ferdinando divenne così Granduca in un periodo che già si presentava agitato alla luce degli avvenimenti rivoluzionari francesi.

In politica interna, il nuovo Granduca non ripudiò le riforme paterne che avevano portato la Toscana all’avanguardia in Europa, precedendo in alcuni campi persino la Rivoluzione Francese allora in corso ma cercò di limitarne alcuni eccessi, soprattutto in campo religioso, che erano stati accolti malvolentieri dal popolo.

In politica estera, Ferdinando III cercò di restare neutrale nella tempesta succeduta alla Rivoluzione Francese ma fu costretto ad allinearsi alla coalizione antirivoluzionaria su forti pressioni dell’Inghilterra, che minacciava di occupare Livorno e l’8 ottobre 1793 dichiarò guerra alla Repubblica Francese. La dichiarazione non ebbe però effetti pratici e anzi, la Toscana fu il primo Stato a concludere la pace e a ristabilire le relazioni con Parigi nel febbraio 1795.

La cautela del Granduca non servì però a tenere fuori la Toscana dall’incendio napoleonico: nel 1796 le armate francesi occupavano Livorno per sottrarla all’influenza britannica e lo stesso Napoleone entrava in Firenze, ben accolto dal sovrano e occupava il Granducato, pur non abbattendo il governo locale. Solo nel marzo 1799 Ferdinando III fu costretto all’esilio a Vienna, in seguito al precipitare della situazione politica della penisola. Le truppe francesi rimasero in Toscana fino al luglio 1799, quando furono scacciate da una controffensiva austrorussa a cui diedero aiuto gli insorti sanfedisti del “Viva Maria!”, partito dall’insurrezione di Arezzo (difatti l’esercito venne nominato Armata Austro-Russo-Aretina).

La restaurazione fu breve; già l’anno dopo Napoleone tornava in Italia e ristabiliva il suo dominio sulla Penisola; nel 1801 Ferdinando doveva abdicare al trono di Toscana, ricevendo in compenso prima il Ducato di Salisburgo, nato con la secolarizzazione dell’ex stato arcivescovile e poi (1805), il Ducato di Würzburg, altro Stato sorto con la secolarizzazione di un principato vescovile.