Istituto Nazionale di Credito per il Lavoro Italiano all’Estero ICLE

Costituzione: 15 dicembre 1923

Pagina libro: 893

Codice ISMIN: 991

L'Italia è stata interessata dal fenomeno dell'emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. In particolare, dai porti del Mediterraneo partirono molte navi con migliaia di italiani diretti nelle Americhe in cerca di un futuro migliore.

Caratteristiche

Tra il 1860 e il 1885 sono state registrate più di 10 milioni di partenze dall'Italia. Nell'arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all'ammontare della popolazione che vi era al momento dell'Unità d'Italia (23 milioni nel primo censimento italiano) si trasferì in quasi tutti gli Stati del mondo occidentale e in parte del Nord Africa... Altro

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A-991Istituto Nazionale di Credito per il Lavoro Italiano all’Estero ICLE-1Officina Carte Valori - Barabino & Graeve - GenovaRoma19231 azione serie CR1 (Più di 5000 pezzi)S1 (da 0 a 25 €)
B-991Istituto Nazionale di Credito per il Lavoro Italiano all’Estero ICLE-2Officina Carte Valori - Barabino & Graeve - GenovaRoma19231 azione serie AR2 (1001-5000 pezzi)S1 (da 0 a 25 €)
C-991--Roma19241 azione nominativa da Lire 50R2 (1001-5000 pezzi)S2 (da 26 a 50 €)
D-991--Roma19591 azione nominativa cumulativa da Lire 250R1 (Più di 5000 pezzi)S1 (da 0 a 25 €)
E-991--Roma19861 azione nominativa cumulativa da Lire 500R1 (Più di 5000 pezzi)S1 (da 0 a 25 €)
F-991--Roma198614 azioni nominative da Lire 500R1 (Più di 5000 pezzi)S1 (da 0 a 25 €)

L’Italia è stata interessata dal fenomeno dell’emigrazione soprattutto nei secoli XIX e XX. Il fenomeno ha riguardato dapprima il Settentrione (Piemonte, Veneto e Friuli in particolare) e, dopo il 1880, anche il Mezzogiorno. In particolare, dai porti del Mediterraneo partirono molte navi con migliaia di italiani diretti nelle Americhe in cerca di un futuro migliore.

Caratteristiche

Tra il 1860 e il 1885 sono state registrate più di 10 milioni di partenze dall’Italia. Nell’arco di poco più di un secolo un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione che vi era al momento dell’Unità d’Italia (23 milioni nel primo censimento italiano) si trasferì in quasi tutti gli Stati del mondo occidentale e in parte del Nord Africa.

Si trattò di un esodo che toccò tutte le regioni italiane. Tra il 1876 e il 1900 interessò prevalentemente le regioni settentrionali, con tre regioni che fornirono da sole circa il 47% dell’intero contingente migratorio: il Veneto (17,9%), il Friuli-Venezia Giulia (16,1%) ed il Piemonte (13,5%). Nei due decenni successivi il primato migratorio passò alle regioni meridionali, con quasi tre milioni di persone emigrate soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, e quasi nove milioni da tutta Italia.

Si può distinguere l’emigrazione italiana in due grandi periodi: quello della grande emigrazione tra la fine del XIX secolo e gli anni trenta del XX secolo (dove fu preponderante l’emigrazione americana) e quello dell’emigrazione europea, che ha avuto inizio a partire dagli anni cinquanta.

La dimensione del fenomeno migratorio italiano è importantissima; nessun altro paese europeo ha avuto un flusso costante di emigranti per un periodo così lungo. Tutte le regioni italiane, nessuna esclusa, hanno contribuito alla grande massa di italiani nel mondo. L’emigrazione italiana oltre ad essere stata una via di fuga da condizioni socioeconomiche difficili ha anche rappresentato una opportunità per lo sviluppo dell’economia marittima nella costa ligure dell’Ottocento, un escamotage di fronte alle crescenti pressioni sociali nei primi del Novecento, una facile soluzione alla questione meridionale e un importante fonte di sostentamento attraverso le rimesse degli emigranti per più di un secolo.

La grande emigrazione

A partire dalla fine del XIX secolo vi fu anche una consistente emigrazione verso l’Africa, che riguardò principalmente l’Egitto, la Tunisia ed il Marocco, ma che nel secolo XX interessò pure l’Unione Sudafricana e le colonie italiane della Libia e dell’Eritrea.

Negli Stati Uniti si caratterizzò prevalentemente come un’emigrazione di lungo periodo, spesso priva di progetti concreti di ritorno in Italia, mentre in Brasile, Argentina ed Uruguay fu sia stabile che temporanea (emigración golondrina). A dare avvio alla possibilità di emigrazione verso le Americhe fu il progresso in campo navale della seconda metà dell’Ottocento, con navi a scafo metallico e sempre più capienti, che ridusse sia il costo (prima improponibile per un emigrante povero) sia la pericolosità del viaggio. L’emigrazione verso il Brasile fu favorita a partire dal 1888 quando in quel paese fu abolita la schiavitù, cosa che rese favorevole quel paese all’accoglienza di manodopera d’immigrazione.

I periodi interessati dal movimento migratorio vanno dal 1876 al 1915 e dal 1920 al 1929 circa. Sebbene il fenomeno fosse già presente fin dai primi anni dell’Unità d’Italia è nel 1876 che viene effettuata la prima statistica sull’emigrazione a cura della Direzione Generale di Statistica.

Emigrazione interna

Un primo tipo di emigrazione “interna” che caratterizzò la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento fu quella che dai territori irredenti (in particolare da Trentino-Alto Adige e Venezia Giulia) portava gli emigranti ai lavori stagionali verso il vicino regno d’Italia: “segantini” (impiegati nella sega a mano dei tronchi), “moléti” (arrotini) e salumai; le donne invece emigravano per lavorare nelle città come badanti o personale di servizio nelle famiglie ricche. Tale emigrazione era usualmente stagionale (soprattutto per gli uomini) e caratterizzava il periodo invernale in cui i contadini non potevano lavorare la terra. Questo contesto migratorio di fine ottocento fu studiato dal prete trentino e giudicariese don Lorenzo Guetti, padre della cooperazione trentina, che in un suo articolo scriveva: “Se non ci fosse l’Italia, noi giudicariesi, dovremmo crepare dalla fame”.

Le migrazioni interne diventarono poi importanti negli anni ’50 e ’60, esse furono essenzialmente di due tipi:

“Migrazione di gentiluomini” ovvero lo spostamento di giovani rampolli dalle campagne alle città per motivi di studi.
Trasferimento nelle città industriali dell’area Nord-ovest di giovani maschi, sposati o in procinto, con basso titolo di studio, prevalentemente dal Sud e dal Triveneto. Le donne, invece, emigrarono secondo il modello “catena di richiamo” ovvero partono prima gli uomini e successivamente c’è il ricongiungimento familiare.
A partire dal 1995 l’istituto SVIMEZ (Istituto Sviluppo Mezzogiorno) inizia ad osservare una certa ripresa dell’emigrazione interna. L’origine dei flussi continua ad essere dalle regioni del Mezzogiorno ma la destinazione prevalente è diretta, adesso, verso il Nord-est e parte del Centro. Le regioni più attive sono la Lombardia orientale, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana e Umbria.

Tuttavia la figura dell’emigrante contemporaneo è in generale molto diversa dal suo omologo della generazione precedente. Infatti solo alcuni emigrano insieme alla famiglia, la maggior parte lo fa individualmente, si sottopone a lunghi spostamenti pendolari e condivide con altri, nella stessa condizione, un alloggio, spesso sovraffollato. Sull’asse dell’emigrazione sud-nord, bisogna segnalare i laureati che non trovando lavoro nelle vicinanze di casa, si spostano nelle regioni del nord, dove la richiesta di “cervelli” (insegnanti, medici, avvocati, ecc.) è costante, con una domanda spesso superiore all’offerta, in particolare per quel che concerne la scuola. Un altro filone è rappresentato da giovani arruolati nelle forze dell’ordine (Guardia di finanza, Carabinieri, Polizia) che prestano servizio nelle caserme del nord.